Ho rubato dei fiori in un cimitero
Se guarderai abbastanza in profondità dentro te stesso, vedrai tutti gli altri.
Leggo su facebook il post di un ragazzo che racconta di aver subito un furto. Non un furto usuale, se così si può dire. Qualcuno ha rubato dei fiori dalla tomba di suo padre, fiori che lui stesso aveva portato al cimitero qualche giorno prima. Evidente il fastidio e la rabbia che suscita un episodio del genere. Credo a ciò che scrive quel ragazzo e capisco il perché lo scrive. Capisco molto meno ciò che leggo sotto al post. Un coro quasi unanime di sdegno e schifo, espresso nelle forme più bizzarre e banali, tipo:
- …nel 2015 ancora accadono queste cose… (come se fosse scritto da qualche parte che col passare del tempo l’uomo corregga i propri peccati fino al punto di divenire un essere perfetto. Mettetevi l’anima in pace, nel 4015 esisteranno ancora i ladri!).
- Se ce li beccassi li ucciderei (perché uccidere per un mazzo di fiori è meno grave di rubare, chi non lo capisce)
- Che schifo (ma dai! pensavo che depredare una tomba fosse una disciplina olimpica)
Insomma, sotto al post inizia il gioco più in voga nell’era dei social network: il gioco de “l’avvocato delle cause vinte“. Sentirsi e mostrarsi persone migliori prendendo a riferimento uomini piccoli che compiono atti meschini. Autentici geni del terzo millennio.
Ma rimaniamo sul fattaccio.
Chi mai potrebbe fare una cosa del genere?
Non scopriremo mai chi può fare certe cose fino a quando continueremo a pensare all’autore del gesto come ad un alieno, una persona anni luce lontana da noi. Non lo scopriremo mai perché, molto probabilmente, quella persona è in mezzo a noi, parla con noi, scherza con noi. Lo incontriamo al bar o a giocare a calcetto. Fa spesa nel nostro stesso supermercato e fa la fila dal nostro stesso dottore. E si, spesso è una persona “normale” come noi. E allora mi sono chiesto: e se fossi stato io?
E se fossi stato IO?
E perché non potremmo essere noi? Perché non potrei essere io?
Forse perché in questo momento qualcuno sta gettando un vecchio frigorifero in una scarpata, qualcuno sta rubando fiori in un cimitero, qualcuno si sta prendendo gioco di un anziano e questo qualcuno non sono io. Io sono seduto davanti ad un computer e non faccio nulla di male. Basta questo a farmi sentire al sicuro e moralmente superiore? Attenzione. Non voglio dire che non ci sia un colpevole oggettivo, fisico, tangibile. Un colpevole c’è e dovrebbe pagare per ciò che ha commesso.
Voglio andare oltre però.
L’autore del gesto ed il colpevole, sono sempre la stessa persona?
Quasi tutti i film americani con cui siamo cresciuti finiscono con un colpevole. Da una parte i cattivi e dall’altra i buoni. Il colpevole è la spiegazione a tutto. Punto.
Io credo che un colpevole non sia mai una risposta, la sua storia potrebbe esserlo. Ciò che di brutto gli è successo nella vita, o ciò che di bello non gli è mai accaduto potrebbe essere una spiegazione al gesto assurdo che ha commesso. È dunque lui il colpevole? O forse è solo l’autore, l’anello finale di una lunga catena?
La storia che lo ha portato sino a rubare fiori in un cimitero non è forse più colpevole della persona stessa? E quanta di quella storia si è intrecciata alla mia storia, alla nostra, e cosa abbiamo fatto affinché la storia altrui fosse migliore una volta separatasi dalla nostra?
E se un po’ di colpa ce l’avessi anche io? Io che scrivo in un blog, io che lavoro in negozio di abbigliamento, io pensionato, avvocato, elettricista, disoccupato. Io che credo sia sufficiente non gettare rifiuti in una scarpata o rubare fiori in un cimitero per essere un innocente, una brava persona. Io che l’ultimo lo ignoro, non lo avvicino, lo derido, a volte me ne prendo gioco. Lo relego ai margini della società e poi lo crocifiggo quando la sua storia parla per lui attraverso gesti sconsiderati e stupidi.
Io che credo meriti rispetto solo il povero che fa notizia. Quello che finisce sui telegiornali, quello sopra una barca che “scappa dalla guerra”. E magari non riesco a vedere la tristezza negli occhi del mio dirimpettaio, il disagio del collega e la solitudine del bullo di paese.
C’è un mandante intellettuale?
Non lo so. La risposta alle mille domande che ho posto è questa: non lo so.
Forse sono andato oltre ma qualcosa proprio non mi convince, non credo che tutto possa essere così semplice. Credo che ci siano infinite interconnessioni tra le storie delle nostre vite, interconnessioni che non possiamo più ignorare e di certo non possiamo liquidare con un “che schifo”, perché dietro a certe meschinità c’è sicuramente di più. C’è una vita, una lunga catena composta da mille anelli e se la giustizia si deve occupare solo dell’ultimo anello a noi il compito morale di comprendere le ragioni di tutta la catena.
Allora io, anche se non ho rubato fiori in un cimitero, la prossima volta, prima di giocare a “l’avvocato delle cause vinte” puntando il dito e provando così ad auto-assolvermi, voglio pensarci un po’ di più e guardarmi attorno. E guardarmi dentro.
p.s.: un film bellissimo (2 premi oscar) che esplora molto bene questa tematica lo trovi a questo link. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
"Bellissimo articolo."
Veronica - L’importanza dell’onestà intellettuale -"giusto"
Virginio Caparvi - L’importanza dell’onestà intellettuale -"Essere ligi quando le leggi sono a nostro favore è facile. Esserlo quando sono contro di noi è un'altra storia. In nessuno dei due casi, comunque, possiamo giudicare l'onestà intellettuale di una persona. Bisognerebbe poter indagare le motivazioni interiori alla base dei comportamenti di una persona. Le leggi cambiano a seconda del periodo storico: chi è stato onesto ieri potrebbe apparire disonesto oggi. Val anche il contrario, naturalmente. Chi possiede una coscienza individuale molto forte non si sente in colpa quando infrange una legge deleteria (pensiamo a Gandhi), mentre potrebbe sentirsi cattivo essendo obbligato a rispettare una norma che danneggia anche solo in parte qualcun altro o la società nel suo insieme... Saluti"
Luca - L’importanza dell’onestà intellettuale -